PALAZZO TANASSO

 

Portocannone, la cui popolazione ha origini albanesi, non è nata con gli albanesi. Il nucleo abitativo, infatti, Palazzo Tanasso Palazzo Tanasso

fu fondato dai popoli latini nel 1046 col nome di "Portocandesium" che divenne, come attestano i registri angioini del 1320, "Portocanduni". La Portocannone latina ebbe fine nel 1456, quando un violento terremoto la rase al suolo. In quel periodo iniziarono le migrazioni albanesi: la prima ebbe luogo nel 1461, quando re Ferdinando I d'Aragona, per vincere la fazione angioina contro cui era in guerra, ottenne l'aiuto delle milizie di Giorgio Castriota Skanderbeg, l'eroe nazionale albanese.

 

A seguito poi dell'invasione turca in Albania, molti albanesi varcarono l'Adriatico, sempre sotto l'egida del regno di Napoli, in virtù appunto dei benefici che il principe Skanderbeg aveva reso alla corona d'Aragona. Vennero così ripopolati i paesi distrutti dal terremoto e Portocannone fu rifondata.

 

"Posta in pianura, e in luogo vistoso, e aperto, che soddisfa l'occhio, non solo del Mare Adriatico, ma anche di altri luoghi di Puglia, Apruzzo e con vicini... la terra è cinta di buone muraglie, bastevoli per assicurarla dalle scorrerie dei turchi, frequenti in quelle marine dell'Adriatico. Ella è piccola e le case sono comode, ma non troppo ben fatte. Non vi era Palazzo Baronale e il Signor Don Carlo Diego Cino da Goglionesi, fin dall'anno 1735 fè buttare i fondamenti per farvelo, propriamente in piazza, avanti la porta della terra". Ecco Portocannone nelle "Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città e della diocesi di Larino" , di Giovanni Andrea Tria, vescovo di Larino e poi arcivescovo di Tiro, edite a Roma nel 1774, e, segnata inequivocabilmente, la data di nascita del suo Palazzo Baronale.

 

Costruito fuori dalle mura dell'antico borgo, dunque, esso conforma oggi la piazza principale del paese, con il suo disegno semplice ed al contempo ricercato.

 

Interamente costruito di mattoni a faccia vista, presenta un interessante loggiato che, con il gioco dei pieni e dei vuoti ed i valori chiaroscurali, dà alla massa movimento e leggerezza architettonica. Sulle finestre delle facciate laterali si alternano poi frontoni e timpani centinati e triangolari risaltati, mentre le altre aperture presentano architravi, spalle e stipiti lavorati. Ai lati del loggiato, due paraste formano delle torrette che terminano in basso con barbacani.

 

Tali contrafforti, concepiti per rinsaldare armoniosamente la struttura, insieme ad altri cospicui lavori strutturali, terminati solo ai primi del '900, introducono significativamente la committenza della famiglia Tanasso, acquirente del palazzo nel 1835 e fino ad oggi proprietaria. Mentre, infatti, sono scarsissime le notizie riguardanti il primo secolo di vita del Palazzo, con l'acquisto da parte dei Tanasso, ogni apporto e miglioramento può essere ricondotto alle persone e al loro tempo, assumendo così un suggestivo inquadramento storico, carico, ogni volta di memorie come di umanità. Se i documenti dell'archivio di famiglia, dunque, collocano la costruzione del giardino certamente negli anni tra il 1835 ed il 1864, è la vivida "memoria di casa" che data, in precisa scansione, la costruzione degli speroni di rafforzamento prima, il rifacimento del portone e di una parete portante poi e quindi, per desiderio di Donna Ester, l'apertura del terrazzo e di nuove finestre, concludendo i lavori strutturali solo ai primi del ‘900.

 

E così, all'interno, l'atmosfera ondeggia tra l'ultimo Ottocento e i primi del Novecento.

 

Cominciando la visita dallo scalone del palazzo si giunge allora ad una suggerente anticamera, decorata a motti e a figure: "vivo ne l'opre e ne la luce esulto" sceglie di far inscrivere nel legno di una sovrapporta d'ingresso l'Avv. Guido Mayer, zio degli attuali proprietari ed il motto ben rappresenta il suo operoso modus vivendi, svelando al contempo una predilezione per le letture dannunziane.

 

Un pittore di Teramo, Ugo Sforza, affrescò un settore della casa, verso gli anni Trenta, con soggetti mitologici ripresi da autori celebrati, come ad esempio il Rubens del Ratto delle Leucippidi, in salotto; lo studio si accende, invece, di un possente nudo maschile - forse l'Ippolito della Fedra di D'Annunzio - che trattiene un cavallo pezzato contro il cielo venato da nuvole e rami della vegetazione terrestre.

 

Delicati acquerelli, spesso a motivi di fiori, questa volta sette-ottocenteschi, adornano il salone e le stanze da letto del palazzo. Il cuore della casa resta però la piccola cappella che ospita la Madonna del Rosario, venerata a Pompei, e nel cui giorno festivo, la prima domenica di ottobre, ogni anno si celebra la Messa in casa.

 

Al piano di sopra la soffitta, con massicce travi di legno e graziosi affacci sui tetti di coppi, non è mai stata abitata se non, durante le due guerre, dai soldati tedeschi e poi inglesi che la occuparono. Del loro passaggio - "rispettoso", ricordavano le persone di casa - non resta che qualche povero relitto, insieme ad una porta su cui un gessetto aveva indicato gli orari dei pasti per gli inglesi, ancora leggibili, e, su un muro, un malinconico volto di donna, di fattezze germaniche, disegnato a carboncino da un giovane soldato cui, forse, era rimasto nel cuore.

 

Un interessante testimonianza della vita e dell'economia del passato ci è data, invece, dai magazzini che si affacciano nella corte interna, al piano terreno.

 

Individuati come il granaio, la cantina, il magazzino dell'olio, raccontano come la casa fosse il naturale approdo ed anche il centro propulsore dell'attività agricola familiare. Di più, in questo caso, il Palazzo si circondava di piccole attività di riferimento, ed ecco allora, dislocati in una geografia accentrata, il frantoio, la ferriera, la legnaia, corrispondenti ai locali che oggi la famiglia va, con altri usi, riaprendo.

 

Palazzo Tanasso è oggi tutelato ai sensi della novellata legge n.1089 del 1/06/39 "come espressione di singolare bellezza e pregio artistico dell'architettura settecentesca molisana, raro esempio di abitazione patrizia perfettamente conservata".

 

L'articolo è stato curato integralmente da Ester Tanasso