PORTOCANNONE

 

L
'attuale toponimo è, con tutta probabilità, riconducibile all'antico sostrato Arco e torre orologio Arco e torre orologio
latino in quanto Portocannone - come tutti gli insediamenti arbëreshë (o italo-albanesi) della Capitanata - era preesistente all'arrivo dei profughi albanesi, i quali ripopolarono i siti rimasti disabitati a causa di guerre e calamità naturali. Infatti, se si prendono in considerazione i numerosi dati onomastici all'interno di antichi documenti riguardanti Portocannone, in un arco temporale che va dalla metà dell'anno mille alla metà del XIV secolo - Portacanduni (1046), Portacandesium (1137), Portacandanum, Portacandora, Portacanduni (Registri angioini del 1320) - è plausibile ipotizzare che il toponimo originario possa essere stato porta candoris, genitivo di qualità del sostantivo maschile latino candor, -oris (candore, splendore), che sta a designare una qualità dell'ingresso del centro abitato "porta del candore, dello splendore"; ipotesi probabile se si considera che la porta principale d'entrata al borgo antico era anticamente costituita da due ampi battenti, con tutta probabilità in legno di rovere di cui la zona era ricca e di cui è tuttora possibile ammirarne i cardini in pietra  nella parte interna dell'antico portale, il quale essendo Cardini arco Cardini arco
orientato verso sud, è illuminato dalla luce solare per la maggior parte della giornata, fino a quando il sole non si avvia al tramonto, durante le ore pomeridiane. In particolare, porta candoris rientra tra gli ecotoponimi, cioè i nomi di centri abitati in cui è pertinente il dato antropico (via, porta, porto, tempio, ponte, ecc.), che nel caso descritto si riferisce alla porta di legno chiaro, illuminata dai raggi solari che ne esaltano tale caratteristica.

 

Del periodo latino non si hanno molte notizie poiché scarsa è la documentazione risalente a questa fase storica, terminata con un violento terremoto nel 1456 che rase al suolo il centro abitato. Mentre, testimonianze più sicure si hanno durante il periodo di dominazione aragonese (dalla seconda metà del XV secolo), che coincide anche con l'arrivo degli albanesi nell'allora provincia di Lucera nell'alta Capitanata, di cui il basso Molise faceva parte.

 

Si può affermare che intorno al 1462 il casale di Portocannone era abitato da albanesi, stando a quanto riportato nei documenti dell'Archivio Aggregato all'Archivio Storico della Parrocchia di Guglionesi, in cui si attesta che Portocannone e il suo territorio erano entrati a far parte dei possedimenti personali della regina Giovanna D'Aragona, sorella di Ferdinando il Cattolico e moglie di Ferrante I da cui ricevette come dono di nozze il feudo di Guglionesi, che rimase sotto la sua amministrazione fino al 1507. A partire da questa data, Guglionesi fu concesso in feudo da Ferdinando ad Andrea De Capua, duca di Termoli a causa del disastroso saccheggio che quel possedimento aveva subito nel 1495 per mano delle truppe di Carlo VIII in ritirata, durante il suo tentativo di conquista del Regno di Napoli nel 1494.

 

La preziosa documentazione riferisce anche dei difficili rapporti che intercorsero tra gli indigeni e i nuovi arrivati: a causa delle continue liti, del gran numero di omicidi perpetrati, degli inesistenti punti di contatto tra le due comunità - in particolare si fa riferimento a differenze linguistiche, di rito religioso e di costumi - gli albanesi furono dapprima smembrati ed utilizzati per ripopolare terre e casali rimasti disabitati per saccheggi e varie calamità; così, la maggior parte di costoro andò ad insediarsi nei casali di Portocannone, Campomarino, Ururi, Santa Croce, Serramano (o Serramale), Montecilfone, S. Leucio e molti altri oggi scomparsi. Parallelamente, un altro piccolo nucleo rimase a Guglionesi e gli fu concesso di istallarsi nella zona sud-occidentale, corrispondente alla parte alta dell'abitato, zona con poche case e numerosi orti, di cui è testimone l'attuale toponimo, Largo dei Greci, che indica la zona centrale di quel quartiere. Successivamente, in seguito all'acuirsi delle tensioni che generarono reazioni negative da parte della popolazione locale, il governo stabilì con un decreto del 1506 che tutti gli albanesi del regno dovessero vivere in luoghi murati e non dovessero detenere arma alcuna, ma quando la situazione degenerò ulteriormente, i vicerè dell'epoca emanarono delle ordinanze affinché i paesi in cui erano insediati gli albanesi fossero bruciati e le popolazioni disperse.

 

Così, ebbe inizio un periodo di forte discriminazione nei confronti dei fastidiosi ospiti, i quali furono scacciati in diversi luoghi e, in particolare, Guglionesi approfittò di tali ordinanze per sbarazzarsene, assegnando loro i suoi casali disabitati di Montecilfone e Serramano con l'obbligo di sottostare alla sua giurisdizione e di pagare il focatico (tassa a carico di ogni nucleo familiare). Tuttavia, ad un certo numero di costoro fu permesso di restare e nel 1562 venne loro concessa anche autonomia amministrativa: non avevano il mastrogiurato, ma avevano un camerlengo, due sindaci ed altri eletti. Non è possibile stabilire fino a quando la comunità albanese si sia mantenuta autonoma e abbia conservato il proprio rito greco-bizantino, ma sicuramente il loro assorbimento avvenne gradualmente e l'abbandono del loro rito religioso fu dovuto, con molta probabilità, sia alla mancanza di preti bizantini in seguito alla morte di quelli arrivati dall'Albania, sia alla repressione da parte della Chiesa latina che impose loro di abbandonare il rito greco-bizantino, che durante la metà del ‘700 era scomparso nella quasi totalità degli insediamenti albanesi.

 

Portocannone rimase alle dipendenze dell'Università di Guglionesi fino al 1619, data in cui insieme ai casali di Montecilfone, Petacciato e Serramano fu venduta per permettere a Guglionesi di estinguere i suoi debiti. Quindi, entrò a far parte dei possedimenti di Giovan Battista Caracciolo, duca di Celenza (sul Trigno), il quale non avendo eredi maschi, fece ereditare alla figlia, Cosima Caracciolo i quattro feudi in occasione del matrimonio contratto con Andrea D'Avalos, Principe di Troia.

 

Nel 1730, la Terra di Portocannone fu venduta a don Carlo Diego Cini di Guglionesi, il quale nel 1735 diede inizio ai lavori di costruzione del Palazzo Baronale che, nel 1835, fu acquistato dalla famiglia Tanasso che ne è tuttora proprietaria.

 

Attualmente Portocannone si estende per circa 1293 ettari ed ha una popolazione di circa 2800 abitanti. L'abitato è situato su una dolce collina alla destra del fiume Biferno ed è circondato da una ricca vegetazione di uliveti e vigneti; ha un'altitudine di 148 metri sul livello del mare che permette di godere di un clima temperato durante tutto l'anno .

 

Portocannone è una comunità albanofona dell'Arbëria settentrionale, l'area del sud Italia, comprendente le regioni di Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, in cui sono dislocate da oltre cinque secoli numerose colonie italo-albanesi (o arbëreshe), che dal 1999 sono riconosciute giuridicamente dallo Stato italiano come appartenenti alla minoranza linguistica storica albanese.

 

La lingua parlata in queste comunità è l'arbëresh, cioè l'albanese d'Italia che, dal punto di vista linguistico, designa una forma di albanese influenzata considerevolmente dall'italiano e dai suoi dialetti nel corso di una secolare ed ininterrotta simbiosi, la quale ha posto le condizioni affinché l'arbëresh seguisse un'evoluzione linguistica autonoma rispetto all'albanese. Infatti, la particolarità dell'italo-albanese risiede nel fatto di rappresentare il risultato del rapporto - da un lato - di influenza e - dall'altro - di resistenza tra l'elemento portato con sé dalla patria d'origine e l'elemento acquisito nella patria di adozione, in una condizione di contatto linguistico diretto con le varietà italo-romanze del Meridione d'Italia.

 

Pertanto, tenendo conto della ripartizione dell'albanese in due varianti dialettali - il ghego al nord e il tosco al sud - si è concordi nel ritenere che l'arbëresh sia una varietà dialettale più o meno arcaica dell'albanese meridionale, di cui ne rispecchia le caratteristiche strutturali.

 

La lingua arbëreshe è, oggi, l'unico testimone di una storia sofferta che ha portato gli arbëreshë a subire violenze culturali, religiose e discriminazioni sociali, con la perdita di molte caratteristiche etniche e culturali originarie e che miracolosamente è sopravvissuta e continua a risuonare nelle strade e nelle famiglie italo-albanesi dopo oltre cinque secoli dal loro arrivo in Italia.

 

 

L'articolo è stato curato integralmente da Maria Luisa Pignoli.

 

Una probabile evoluzione del toponimo latino è: porta candoris > porta candori > porta cannori > porta cannoni, come effetto di successive assimilazioni progressive che hanno colpito, in primo luogo, la -d- e, successivamente, la -r-.

 

Il legno del rovere, in arbëresh qarrini (Quercus petraea) è di colore chiaro, è piuttosto pregiato e viene utilizzato, oltre che nella fabbricazione di mobili, nell'edilizia, per parquet, nei cantieri navali e nella costruzione di doghe per botti per l'invecchiamento dei vini e altre bevande alcoliche; ottimo combustibile, è anche utilizzato per la produzione di carbone.

 

Per eco- si intende: gr. oikos (casa, abitazione, dimora).

 

I documenti dell'A.S.P.G. sono composti da una serie di atti notarili, raccolti in quattro volumi rilegati che si riferiscono agli anni 1546, 1548, 1551 e 1562. Attualmente, è stato edito il volume riguardante l'anno 1546, a cura di Domenico Aceto, Atti del notaio G.L. De Manfrodinis - vol. I (1546).

 

A questo proposito, risultano molto importanti le testimonianze riportate dal vescovo latino G.A. Tria nel testo Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della diocesi di Larino, del 1744, in cui risulta chiara l'avversione della Chiesa cattolica nei confronti dei greco-bizantini che furono latinizzati anche ricorrendo a dure repressioni.

 

Tutte le informazioni relative al Palazzo Baronale sono state fornite da Ester Tanasso.

 

Per approfondimenti, consultare il testo della Legge n.482 del 15 dicembre 1999 "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche".